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Il Consumismo di Galimberti

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DamnedAngel
view post Posted on 6/10/2009, 20:15




I rifiuti costituiscono un problema soprattutto per via della loro quantità, dovuta alla mentalità consumistica della nostra società, come afferma Umberto Galimberti, professore di Filosofia e psicologia all’Università di Venezia, in “I vizi capitali e i nuovi vizi”
Egli sottolinea che non sono solo prodotte delle merci per soddisfare i bisogni dell’uomo, ma anche dei bisogni per garantire la continuità della produzione delle merci: il consumo diventa un mezzo di produzione poiché dove le merci devono essere consumate, ma il loro bisogno non è spontaneo, occorrerà che questa necessità sia prodotta.
Per provvedere a ciò è stata creata la pubblicità che invia esplicite richieste a rinunciare a quegli oggetti che possediamo perché nel frattempo ne sono stati creati di nuovi.
In questo modo si sviluppa una distruzione che non è la fine naturale di ogni prodotto, ma il suo scopo: tutto ciò è necessario per non interrompere il processo produttivo.

Infatti nel ciclo produzione-consumo le cose sono pensate in vista della loro rapida inutilizzabilità; ecco che la fine delle cose è pensata come il loro fine e quindi il loro uso deve coincidere necessariamente con la loro usura. Se questo non è possibile per l’intero prodotto, che non verrebbe acquistato, è sufficiente che lo sia per una parte di ricambio, in modo tale che persino le piccole riparazioni siano costose. Se neanche tutto questo basterà a persuaderci della “necessità” di sostituirlo, sarà la pubblicità a convincerci che esso è diventato “socialmente inadatto”.
Ed è per lo stesso motivo che vengono usate strategie come la moda: per opporsi alla resistenza dei prodotti viene reso ciò che è ancora materialemente utilizzabile, socialmente bisognoso di essere sostituito.
Lo stesso discorso vale per gli armamenti: se un’arma resta inutilizzata per mancanza di guerre o se ne crea una “migliore” che renda ibsolete le precedenti, oppure si vendono conflitti per “ragioni umanitarie”.

I consumatori arrivano così a perdere la dimesione del tempo, dove la durata temporale è formata da passato, presente e futuro, e sostituita da un assoluto e precario presente, e conseguentemente perdono anche la loro consistenza e quella del mondo.
L’individuo, senza più punti di riferimento, perde la sua identità e un mondo fidato di oggetti e sentimenti durevoli viene poco a poco sostituito da dei riflessi fugaci, che portano l’uomo a declinarsi nell’apparire.
Egli impara che ciò che realmente conta è solamente l’immagine che gli altri hanno di sé e comincia a rivestire la propria persona di teatralità, rendendo la sua vita niente di più che una rappresentazione.
In questa cultura anche la libertà cambia: non è più una scelta d’azione che porta a costruire un individuo fedele alla propria personalità ma la scelta di indossare maschere sempre diverse che nascondono un’assenza di personalità.
E dove la scelta non produce nessuna differenza, tutto diventa intercambiabile, anche i rapporti tra gli uomini, dove “il principio dell’usa e getta regola sia le realzioni matrimoniali, sia le relazioni senza impegno”.
La cultura del consumo diffonde l’astensione dalla scelta tipica del consumismo, un’illibertà che non è neanche avvertita e a cui l’individuo non può opporre un’efficace resistenza individuale, poichè essendo tendenze collettive, colui che resiste verrebbe escluso dalla società.
 
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