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Gipeto

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view post Posted on 11/8/2009, 12:36






Il Gipeto (Gypaetus barbatus), con un’apertura alare compresa tra 265 e 285 cm, è attualmente il più grande fra i rapaci presenti in Italia. È un avvoltoio dalle forme agili e slanciate nettamente differenziato rispetto al Grifone (Gyps fulvus) e all’Avvoltoio Monaco (Aegypius monachus), rispetto ai quali è anche sensibilmente più leggero, e presenta qualche similitudine solamente con il più piccolo Capovaccaio (Neophron percnopterus). Il nome latino del genere, Gypaetus, che deriva dal greco gyps (avvoltoio) e da aetos (aquila) (Moltoni 1946), sta ad indicare la particolarità della specie. In volo quello che spicca maggiormente sono le ali strette ed appuntite, e la coda lunga e cuneiforme, che gli conferiscono più l’aspetto di un Corvo imperiale o di un gigantesco falcone che non quello di un avvoltoio.

Gli abiti stagionali e sessuali non sono differenziati; la femmina è leggermente più grande del maschio ma tale differenza è difficilmente apprezzabile in natura. L’aspetto degli adulti è fortemente contrastato con parti inferiori, testa e collo chiari, da bianchi a rossastri, e parti superiori scure, grigio-ardesia. Le ali e la coda sono grigio-scuro. La testa, interamente piumata è molto caratteristica per la presenza di ‘‘baffi’’ neri e rigidi che scendono ai lati del becco, di redini nere, e per la colorazione giallo chiaro dell’iride e rossa dell’anello perioculare. I giovani, soprattutto in volo, evidenziano un aspetto meno slanciato rispetto agli adulti, dovuto alla maggior lunghezza delle remiganti secondarie e ad una maggiore ampiezza della coda; questo consente loro di avere un minor carico alare e quindi di volare più lentamente e con maggiori possibilità di manovra. Il piumaggio dei giovani, inoltre, è più scuro rispetto a quello degli adulti: quasi completamente bruno, con capo nerastro.
Il piumaggio adulto viene acquisito gradualmente, passando attraverso una serie di livree intermedie, nell’arco di 6-7 anni.

Avvoltoio tipico delle regioni montuose, il Gipeto frequenta pareti rocciose, aspri valloni e dolci altipiani che costituiscono il suo habitat ideale. La sua stessa morfologia gli permette di sfruttare perfettamente le brezze, anche minime, che risalgono i versanti e percorrono le valli montane. Nessun altro rapace, nemmeno l’Aquila reale, riesce a manovrare tra le montagne con la leggerezza del Gipeto, un impressionante aliante naturale dotato di sorprendente agilità. Il Gipeto è un rapace longevo che vive generalmente in coppie, fedeli per la vita, in ampi territori. La fase riproduttiva richiede diversi mesi ed inizia precocemente; la deposizione, alle nostre latitudini, ha luogo generalmente a fine gennaio-inizio febbraio e l’unico giovane allevato arriva ad involarsi solitamente nella seconda metà di luglio. Nel proprio home range ogni coppia dispone di aree idonee per la riproduzione, per il riposo diurno e notturno e di estesi territori di ‘‘caccia’’, rappresentati soprattutto da versanti erbosi e rocciosi, anche moderatamente ricoperti da vegetazione arborea o arbustiva, che ispeziona sistematicamente volando a bassa quota. Il Gipeto, sfruttando le sue eccezionali doti di volo, può iniziare a volare di primo mattino, trascorrendo così gran parte della giornata e spingendosi anche a grande distanza.

La specie necessita quindi di vasti territori montuosi con adeguate risorse trofiche, rappresentate principalmente da carcasse di ungulati selvatici e/o domestici. L’alimentazione si basa soprattutto sulle ossa, risorsa che non viene contesa e utilizzata da altri necrofagi ma che si trova fortemente dispersa sul territorio, condizione che determina conseguentemente densità e consistenze molto basse. Le ossa più lunghe, prima di venire ingerite, vengono trasportate in volo e spezzate, lasciandole cadere su apposite aree rocciose denominate rompitoi. A tale comportamento si riferisce il nome spagnolo della specie: Quebrantahuesos vale a dire ‘‘spaccaossa’’. Il Gipeto è presente in Europa meridionale, Asia sud-occidentale e centrale, Africa settentrionale, centro-orientale e meridionale. Attualmente in Europa la specie è presente sui Pirenei, sia sul versante francese che, soprattutto, spagnolo, con oltre 90 coppie, in Corsica con 10 coppie, in Grecia continentale con 1-2 residue coppie (estinzione prossima), sull’isola di Creta con una popolazione di 8-10 coppie (sembra attualmente ridotta a sole 4 coppie). Sulle Alpi, grazie ad uno specifico progetto di reintroduzione entrato nella fase operativa dal 1986, sono presenti approssimativamente almeno 60 individui con 7 coppie formate, 3 delle quali si sono già riprodotte.

Secondo una recente revisione sistematica di Hiraldo et al. (1984) vengono distinte solamente due sottospecie di Gipeto: barbatus (Eurasia e Africa settentrionale) e meridonalis (Africa orientale e meridionale). La ssp. meridonalis si differenzia per le dimensioni ed il peso inferiore, l’assenza di piume nere nella regione auricolare e di piume filiformi sul mento, la regione alta della fronte totalmente bianca o solo leggermente striata, banda scura sul petto pressoché assente, dorso più scuro, tarsi scarsamente piumati rispetto alla sottospecie nominale.

Le conoscenze riguardo la muta si sono potute approfondire anche grazie al programma di reintroduzione in atto. Va comunque detto che i gipeti variano gradualmente aspetto passando dal piumaggio giovanile scuro a quello contrastato dell’adulto, attraverso un processo continuo, in modo tale che le fasi intermedie descritte dai vari studiosi rappresentano distinzioni piuttosto arbitrarie (Hiraldo et al. 1979). Forsman, ad esempio, parla di piumaggio giovanile (juvenile) riconoscibile sul campo fino a 21-24 mesi di età. Altri autori, come Hiraldo o Parellada, secondo un criterio utilizzato più comunemente, parlano di piumaggio da giovane fino al compimento del primo anno di vita, limite temporale oltre il quale utilizzano, rispettivamente, il termine di piumaggi intermedi (tra quello giovanile e quello di adulto imperfetto o subadulto) e piumaggi da immaturo. Il periodo in cui i gipeti presentano piumaggi da immaturo (da 1 a 5 anni di età) è il più prolungato e le attribuzioni di età in questa fase vanno fatte con prudenza, poiché progressione della muta e schiarimento del piumaggio vanno soggetti a marcate variabilità individuali.

In base alle variazioni di piumaggio in relazione all’età distinguiamo quindi:

* giovane (0-1 anni),
* immaturo (1-5 anni),
* subadulto (5-7 anni),
* adulto (oltre i sette anni).

Sul campo possiamo distinguere agevolmente i giovani fino ad un anno di vita, per l’abito molto scuro, soprattutto sul capo, e parti inferiori più chiare. La tipica barba è ancora poco sviluppata e non evidente. Il giovane comincia a mutare nella primavera del 2° anno (aprile), in pratica all’inizio del 2° anno di vita, cambiando da 3 a 4 primarie interne (Forsman 1999). L’iride scura comincia a diventare più chiara. Va aumentando il contrasto tra le parti inferiori, che tendono allo sbiadimento, e la testa che rimane scura. Dalla primavera all’autunno del terzo anno l’immaturo muta altre primarie ed occasionalmente alcune secondarie. Dal terzo anno cominciano a comparire penne chiare sulla testa e sul collo, rimanendo una banda pettorale (collare) scura. L’iride è gialla. Le parti inferiori assumono tonalità più aranciate e sulle ali spiccano poche secondarie lunghe del vecchio piumaggio giovanile. Negli immaturi il bordo posteriore dell’ala appare infatti irregolare, per la presenza di remiganti di diversa lunghezza, dal 2° al 4° anno (Parellada 1984).

Conclusa la muta delle remiganti, progressivamente si schiarisce la testa, le parti inferiori si fanno uniformemente più chiare aumentando la proporzione di penne biancastre su banda pettorale e collo. A 3-4 anni i gipeti immaturi cominciano ad assumere un aspetto complessivo che ricorda quello degli adulti, più simile dal 5° anno. I subadulti sono, infatti, molto simili ai soggetti adulti da cui differiscono per le copritrici inferiori alari chiazzate, più chiare delle remiganti, e la presenza di alcune penne degli abiti precedenti. Le ali superiormente passano dal bruno al grigio-ardesia tipico del perfetto adulto.

In questa specie, la colorazione biancastra delle parti inferiori assume tonalità ruggine per effetto di una singolare abitudine a compiere bagni di terra umida rossastra. I gipeti della popolazione alpina, a differenza di quelli della Corsica che presentano parti ventrali quasi candide, evidenziano, più o meno marcatamente, questa sorta di fondo tinta, con differenze individuali che nel Parco Nazionale dello Stelvio ci consentono spesso il riconoscimento dei membri delle coppie. A tal fine si rivelano utili altre caratteristiche variabili del piumaggio, quali, ad esempio, la diversa estensione della banda pettorale (o collare) nei vari individui.

 
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DamnedAngel
view post Posted on 11/8/2009, 12:51




Il ritorno del Gipeto sui massicci montuosi delle Alpi, rappresenta un evento naturalistico di eccezionale importanza che sta fortemente interessando anche alcune aree protette del nostro Paese, principalmente Parco Nazionale dello Stelvio, Parco Naturale delle Alpi Marittime, Parco Nazionale del Gran Paradiso e, nei primi anni ’90, Parco Naturale Adamello-Brenta. Specie storicamente presente sull’intero arco alpino, a circa un secolo dall’estinzione dai Paesi della cerchia alpina, il mitico avvoltoio delle montagne sta tornando progressivamente a popolare l’antico areale, grazie ad un grande progetto di reintroduzione internazionale.


Più precisamente, fino all’inizio del 1800, questa specie era diffusamente presente sui principali sistemi montuosi dell’Europa centrale e meridionale, con una fascia pressoché continua dalla Penisola Iberica ai Balcani. Negli anni successivi tali popolazioni subirono un drastico declino dovuto alle persecuzioni dirette in quanto l’innocuo Gipeto, noto fino ad epoche piuttosto recenti col nome di Avvoltoio degli agnelli, veniva comunemente ritenuto specie pericolosa e nociva cui si attribuiva la predazione di ovini. Sotto Umberto I e Vittorio Emanuele III vigeva una taglia che incentivava gli abbattimenti, pagata per ogni Gipeto ucciso dai direttori delle cacce reali (Tosi 1978). Allo sterminio su vasta scala contribuirono altresì il collezionismo e l’utilizzo di esche avvelenate per eliminare lupi e volpi, delle cui carcasse successivamente i gipeti si nutrivano. La causa principale dell’estinzione di questo avvoltoio sulle Alpi va quindi ricondotta all’ostilità manifestata dall’uomo, atteggiamenti non del tutto scomparsi nemmeno nell’ultimo scorcio di millennio, considerati i diversi casi di abbattimento che si sono dovuti registrare di recente in varie località della regione alpina (Francia, Italia-Austria, Svizzera) a progetto di reintroduzione già avviato.

Questa importante operazione coordinata dalla FCBV (Foundation for the Conservation of the Bearded Vulture), volta a riportare una specie scomparsa in una regione, come quella alpina, che ha mantenuto caratteristiche ambientali idonee alla presenza dei gipeti e comunità culturali dall’accresciuta sensibilità ecologica rispetto al passato, viene condotta seguendo particolari metodologie. Queste si basano sull’allevamento in cattività di giovani, da parte di coppie ospitate in giardini zoologici ed appositi centri di riproduzione e sul successivo rilascio in natura di una parte dei giovani nati.

Le aree finora individuate per il rilascio sono le seguenti:
# Parco Nazionale degli Alti Tauri (Austria) dal 1986
# Massiccio del Bargy in Alta Savoia (Francia) dal 1987
# Parco Nazionale dell’Engadina (Svizzera) dal 1991 e Parco Nazionale dello Stelvio (Italia) dal 2000
# Parco Nazionale del Mercantour (Francia) dal 1993 e Parco Naturale delle Alpi Marittime (Italia) dal 1994

Sulla base di una collaudata tecnica denominata "hacking", si cerca di ricreare le condizioni naturali di involo dei giovani. Questi, solitamente a giugno, cioè ad un’età di circa tre mesi o poco più, vengono portati nelle località di reintroduzione per essere collocati in nidi simili a quelli naturali, appositamente predisposti all’interno di cavità rocciose. I giovani gipeti, in questa fase del loro sviluppo, sono già in grado di autoalimentarsi ma non ancora di spiccare il volo. L’involo avviene generalmente dopo 20-25 giorni ed il sito di rilascio viene rifornito di cibo fino ad agosto, dopodiché questi grandi avvoltoi si basano sulle disponibilità trofiche naturali esplorando ampie superfici alla ricerca di carcasse di ungulati o di altri mammiferi, più abbondanti nei territori dei parchi e nelle aree protette, verso i quali i gipeti mostrano una evidente preferenza. Nelle prime settimane successive all’involo, i giovani rimangono nella zona del sito di reintroduzione, successivamente iniziano a compiere movimenti che possono interessare l’intera catena alpina (massimi spostamenti registrati eccezionalmente fino in Olanda e Danimarca) intraprendendo una fase di erratismo che può protrarsi per alcuni anni, fino alla formazione di coppie ed all’occupazione stabile di un territorio.

Per un periodo di almeno 2 anni, nei soggetti reintrodotti sono visibili marcature alari e talvolta caudali realizzate con la tintura di alcune penne. Tale caratteristica rende temporaneamente riconoscibili in volo, anche a notevole distanza, i vari individui. La dotazione di anelli colorati presenta inoltre il vantaggio della lunga durata, ma si rivela utile all’identificazione individuale solo in condizioni particolarmente favorevoli, con i gipeti posati a distanze non elevate, risultando, anche per i tarsi piumati, più raramente apprezzabile sul campo. Ogni segnalazione, comunque, può risultare importante e fornire informazioni utili alla rete di monitoraggio, che si avvale di un ampio numero di collaboratori ed osservatori sull’intero arco alpino.


La riuscita del progetto è in gran parte legata alla formazione di coppie ed al successo riproduttivo della popolazione reintrodotta. Nel 1997 in Alta Savoia è avvenuto l’involo del primo Gipeto nato in natura sulle Alpi dopo l’avvio della reintroduzione. L’anno successivo è stata la volta del Parco Nazionale dello Stelvio, con il primo involo per l’Italia. Nello specifico, nel settore lombardo di questa estesa area protetta, una coppia di gipeti a suo tempo rilasciati nell’adiacente Parco Nazionale Svizzero, ha allevato con successo un giovane ("Stelvio") che si è involato il 18 luglio 1998. Successivamente nel territorio del Parco Nazionale dello Stelvio si è insediata e riprodotta una seconda coppia di gipeti ed attualmente quest’area protetta, recentemente eletta anche a nuovo sito di reintroduzione, rappresenta una delle zone di maggior importanza per la specie sull’intero arco alpino.

Guardando all’evoluzione attuale della situazione sul versante italiano, va anche considerato che sulle Alpi piemontesi si è recentemente stabilita una nuova coppia prossima alla maturità sessuale (raggiunta a 6-7 anni di vita) che lascia ben sperare per una futura nidificazione.

Tali eventi, motivo di grande soddisfazione e difficilmente immaginabili fino a pochi anni fa, rappresentano l’inizio di un processo di ricolonizzazione sicuramente destinato a svilupparsi nei prossimi decenni. Fino ad oggi sono 98 i gipeti liberati sulle Alpi e di questi almeno due terzi sono ancora presenti in natura. A questi vanno ad aggiungersi i giovani nati in libertà e regolarmente involatisi (finora sette), allevati da coppie adulte il cui numero, ancora piuttosto esiguo, è in progressiva crescita. Per il futuro, nelle zone riproduttive, è comunque auspicabile la minimizzazione delle varie forme di disturbo portate dall’uomo nel delicato periodo della nidificazione, fattore su cui, considerato anche l’incremento dei siti, più o meno vulnerabili, si sta discutendo in ambito alpino, in termini di una maggiore regolamentazione.

Nel 1999 entrambe le coppie territoriali del Parco Nazionale dello Stelvio, pur avendo deposto, hanno fallito la riproduzione. Nello specifico, la prima coppia, rispetto al 1998, ha cambiato sito di nidificazione scegliendo una nuova nicchia, poco riparata, posta su una parete inaccessibile di 300 m, circa un chilometro più a sud della precedente. All’inizio di aprile, dal comportamento degli adulti si è dedotta la presenza di un pulcino che è stato regolarmente allevato fino a maggio, quando, a seguito del disgelo e di slavine, la cavità nido è stata invasa da neve e soprattutto acque di scioglimento che hanno determinato la morte del pullus.

La seconda coppia ha deposto più tardivamente, su una cengia rocciosa fortemente esposta e priva di protezioni. La schiusa era prevista ad inizio aprile ma l’incubazione si è protratta fino alla fine di aprile, dopodiché la coppia ha abbandonato il nido. L’uovo è stato successivamente recuperato ed analizzato rilevando la presenza di un embrione di circa 4-5 settimane. Nella prima metà di marzo, periodo a cui risale la morte dell’embrione per effetto di prolungate assenze dal nido degli adulti, le condizioni metereologiche erano particolarmente avverse. La morte dell’embrione andrebbe quindi messa in relazione all’andamento climatico e forse al disturbo antropico, poiché nella neve sono state rilevate tracce di passaggio fino a limitata distanza dal nido.

 
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